IL PRETORE
   Ha  emesso  la  seguente ordinanza, visti gli atti del procedimento
 penale contro Di Tillo Matilde imputata per i reati di cui:
     A) art. 20, lett. C), legge n. 47/1985;
     B) artt. 1, 2, 13, legge n. 1086/1971;
     C) artt. 1, 4, 14, legge n. 1086/1971;
     D) artt. 1, 3, 17, 18 e 20, legge n. 64/1974, 81 c.p.v. c.p.;
     E) art. 1-sexies, legge n. 431/1985;
     F) art. 734 c.p.;
     G) art. 221 tullss.
   Il giudice remittente e' chiamato ad applicare, tra l'altro  l'art.
 1-sexies,   legge   n.  431/1985  in  merito  al  quale  si  sospetta
 l'incostituzionalita' come da motivazione che di seguito si  esprime.
 Tanto premesso in punto di rilevanza sulla non manifesta infondatezza
                                Osserva
   La norma incriminatrice di cui all'art. 1-sexies, legge n. 431/1985
 richiamato  rimanda  ad  aree  considerate protette, desumibili dalla
 esressa elencazione normativa di cui all'art. 1.
   L'individuazione dei beni oggetto di tutela per categorie  -  quale
 presupposto   normativo,   che   attraverso   il   meccanismo   della
 incorporazione concorre ad identificare la fattispecie incriminatrice
 -  confligge,  gia'  di  per  se',  con  i  parametri  costituzionali
 contenuti  negli  artt.    42  e 97 della Costituzione. In effetti la
 proclamazione di principio secondo cui la proprieta' e' inviolabile -
 salvo le limitazioni nei modi e forme previsti dalla legge -  postula
 che, se e' vero che esistono beni con naturale attitudine al vincolo,
 con  conseguenti  limitazioni al diritto di disposizione e godimento,
 cio' non di meno la loro individuazione deve avvenire  attraverso  le
 forme  del  giusto  procedimento, la cui rilevanza e necessarieta' si
 desume  dal  generale  canone  del  buon   andamento   amministrativo
 codificato  all'art.  97 della Costituzione.  Cio' al duplice fine di
 rendere conoscibile, attraverso procedure di esternazioni ad evidenza
 pubblica, le ragioni  che  connotano  il  particolare  pregio  di  un
 determinato  bene  e di consentire parallelamente ai privati di poter
 introdurre nel procedimento medesimo le loro osservazioni e  istanze.
 Cio'  e' evidentemente precluso qualora il vincolo risulti introdotto
 per via legislativa anziche' provvedimentale.
   Ulteriore negativo riflesso di tale situazione  e'  la  sostanziale
 perdita  di  concretezza  della  stessa  ratio  punitiva sottesa alle
 speciali  norme  incriminatrici  introdotte  proprio  per  assicurare
 protezione  accentuata a beni e valori di particolare considerazione.
 Conseguentemente le stesse norme incriminatrici  solo  apparentemente
 risultano  rispettose  del  principio  di  tipicita' inteso nella sua
 stretta correlazione con l'interesse o bene da salvaguardare che,  in
 tali  eventualita',  giova  ribadirlo,  solo in termini assiomatici e
 senza alcun riscontro di concretezza, se non in via di vera e propria
 astrazione, risulta sussistente.
   In questa ottica,  in  cui  la  tutela  del  valore  ambientale  e'
 affidata  piuttosto  a  illusioni  repressive che non a concreti atti
 della pubblica autorita' di  individuazione  del  bene  da  tutelare,
 viene  ad essere inciso lo stesso principio di ragionevolezza, atteso
 che si introduce un regime particolarmente  afflittivo  senza  alcuna
 certezza  che  lo  stesso  sia  in rapporto di sintonia con interessi
 effettivamente  sussisteni.    Di  tale  disarmonia  del  sistema  e'
 espressione  la norma richiamata nella rubrica del presente processo,
 come puo' evincersi dalla irragionevole e non giustificabile maggiore
 afflittivita' della predetta norma incriminatrice,  che  presenta  un
 carattere  prevalentemente  formale,  quale  risposta punitiva per la
 mancata acquisizione del titolo autorizzatorio da  parte  degli  enti
 preposti  alla  tutela  del  vincolo, rispetto alla previsione di cui
 all'art. 734 c.p., che considera  la  deturpazione  di  fatto  ed  in
 concreto del bene ambientale, con evidente maggior spregio del valore
 paesaggistico ed ambientale.
   Ne'  puo'  pretermettersi la sospetta incostituzionalita' dell'art.
 1-sexies, legge n. 431/1985, in se'  considerato,  in  raffronto  con
 l'art.  25,  secondo  comma,  della  Costituzione  per violazione del
 principio di legalita' essendo indeterminata la pena da applicare. Al
 riguardo non appaiono persuasive  le  precisazioni  giurisprudenziali
 che  individuano in quella riportata dall'art. 20, lett. c), legge n.
 47/1985, fondando sull'argomento che soltanto  l'art.  20,  lett.  c)
 richiamato si riferisce a zone vincolate.
   Tale  argomentazione non incide affatto sulla problematica di fondo
 concernente la mancanza, nel testo della norma incriminatrice, di una
 specifica sanzione tra quelle gradatamente riportate  nell'art.    20
 richiamato  e,  da  qui,  la palese indeterminatezza della previsione
 sanzionatoria. A tacere del rinvio, qualora volesse  condividersi  la
 richiamata   impostazione   giurisprudenziale,   alla   gia'  cennata
 problematica  insistente  sulla   irragionevole   concentrazione   di
 previsioni   sanzionatorie   distinte  per  un  medesimo  fatto  e  a
 salvaguardia dello stesso interesse.
   Neppure puo' dirsi rispettato, sempre nel caso dell'art.  1-sexies,
 l'obbligo  di  specificazione  della  condotta  incriminata, che, nel
 testo  della  norma  in  discorso,  viene  individuata  con  generico
 riferimento  alla violazione delle disposizioni della stessa legge n.
 431/1985.  Come autorevolmente osservato in dottrina, infatti non  e'
 sempre  chiara  l'individuazione  della  condotta vietata, in quanto,
 esaminando le disposizioni degli artt. 1/1-quinquies, solo in  alcuni
 casi  si  possono  identificare norme a contenuto precettivo. Come si
 puo' notare, infatti, nella legge n. 431/1985  non  e'  compresa  una
 specifica  disposizione  che  pone l'obbligo della autorizzazione per
 ogni opera realizzata in zona vincolata in base alla stessa legge  o,
 comunque,  soggetta  a  vincolo  paesaggistico,  e non sembra che una
 soluzione interpretativa assai disinvolta, che si fondi sul  richiamo
 ad  un  presupposto logico della disciplina in questione, vale a dire
 l'obbligo della  autorizzazione  di  cui  alla  legge  n.  1497/1939,
 sarebbe  del  tutto  corretta  dal  punto  di  vista  del gia' citato
 principio di legalita' di rango costituzionale.
   In altre parole, se si interpretasse rigorosamente la  disposizione
 in  parola,  l'art.  1-sexies  non  sarebbe  applicabile  in  caso di
 realizzazione di opere in zone  vincolate  senza  autorizzazione  per
 mancanza   dell'estremo   delle  condotte  vietate,  stante  la  gia'
 ricordata carenza  di  norme,  nel  corpo  della  legge  medesima,  a
 contenuto precettivo.